di Sonia Badiali e Valeria Calderoni. Read in English
Eccoci qua, pronti a tuffarci ancora una volta nel meraviglioso mondo degli spaghetti western! Qualche settimana fa, nella prima parte dell’articolo, abbiamo elencato i migliori spaghetti western secondo le preferenze di Mik, che costituiscono una perfetta introduzione al genere: abbiamo iniziato con gli indimenticabili classici del padre fondatore Sergio Leone e proseguito con alcuni grandi film di registi affini che si sono ispirati al suo stile, alla sua prospettiva e al suo atteggiamento nei confronti del cinema western, primo fra tutti Clint Eastwood.
Oggi, tuttavia, ci apprestiamo ad esplorare il lato sanguinolento, violento e spietato del western italiano. Non solo questi film, proprio come gli spaghetti “classici” menzionati poco sopra, ci mostrano la vera brutalità del West e l’amara realtà della vita, dove le cose non finiscono sempre bene, gli eroi non sono sempre senza macchia e i cattivi non sono necessariamente sconfitti – ma lo fanno dando uno schiaffo vendicativo allo spettatore, quasi come a volerlo svegliare dicendogli: “credevate davvero che le cose fossero diverse da ciò che stiamo per mostrarvi? Miserabili sciocchi!”
L’intento spietato e punitivo di svezzare il pubblico ingenuo e la tendenza a soffermarsi sui dettagli più brutali e tragici sono sicuramente i tratti che distintivi dell’evoluzione degli spaghetti western dai violenti ma ancora poetici inizi di Leone ai toni schietti e feroci di Corbucci, Sollima e Petroni. Queste caratteristiche tendono a polarizzare il pubblico del cinema western ancora oggi, dividendolo tra coloro che abbracciano ed apprezzano il rifiuto della classica tradizione western di John Ford & co. nella sua romanticizzazione della conquista del West e coloro che non sono affatto compiaciuti – se non apertamente disgustati – dalla violenza implacabile ed esplicita che viene utilizzata, a loro avviso, per nascondere la mancanza di maestria e di immaginazione da parte del regista.
Luca, il membro della nostra famiglia che più di ogni altro conosce e ama questa leggendaria incarnazione del cinema western nostrano, appartiene sicuramente al primo gruppo: e noi da che parte stiamo, cari lettori e amici?
Luca ci ha gentilmente offerto un elenco dei migliori spaghetti western del tipo cruento: 10 film che dimostrano l’abilità e la poesia dei nostri registi italiani nonostante la loro predilezione per l’azione violenta; 10 capolavori che sono stati onorati dalla presenza di alcuni dei più celebri attori del genere, nonché spesso da una colonna sonora originale firmata dal maestro Ennio Morricone; 10 film controversi e affascinanti che metteranno alla prova i nostri gusti, i nostri pregiudizi e soprattutto il nostro stomaco!
Il western secondo Luca:
10 Spaghetti western “AL POMODORO”
Titolo | Regista | Anno |
---|---|---|
Keoma | Enzo G. Castellari | 1976 |
Il Grande Silenzio | Sergio Corbucci | 1968 |
La Resa dei Conti | Sergio Sollima | 1966 |
Faccia a Faccia | Sergio Sollima | 1967 |
Corri Uomo Corri | Sergio Sollima | 1968 |
Tepepa | Giulio Petroni | 1969 |
I Giorni dell’Ira | Tonino Valerii | 1967 |
Le Colt Cantarono la Morte | Lucio Fulci | 1966 |
Quien Sabe? | Damiano Damiani | 1966 |
Preparati la Bara! | Ferdinando Baldi | 1968 |
Keoma di Enzo G. Castellari, 1976
con Franco Nero, William Berger, Olga Karlatos; colore, 101 min.
Keoma, figlio di un bianco e di un’indiana, cerca di ritornare al suo paese dopo la guerra di Secessione. Durante il viaggio, Keoma incontra una carovana di appestati, scortati da un gruppo di pistoleri che li conducono alla morte in una miniera abbandonata.
Tra questi c’è però una donna incinta non malata, che Keoma libera; la donna gli racconta la situazione attuale del villaggio, dove l’ex ufficiale dell’esercito Caldwell spadroneggia dopo aver obbligato tutti i contadini a vendere le loro terre. Raggiunto il padre, questi gli rivela che i suoi fratellastri, che lo hanno sempre odiato, si sono alleati a Caldwell.
Il film è incentrato sulla lotta di Keoma per salvare il paese e la donna incinta, temi di per sé tipici del western ma affrontati in modo del tutto unico e originale: il film propone temi biblici, politici e innovativi che un western non aveva mai affrontato.
La Morte, rappresentata da una vecchia strega che trascina un carretto e che appare ogni volta che l’ora di Keoma sembra giunta, è un elemento inquietante e suggestivo; è presente anche durante la resa finale dei conti tra Keoma e i suoi fratellastri che avviene tra le urla della giovane donna, assistita dalla vecchia durante il parto.
Il Grande Silenzio di Sergio Corbucci, 1968
con Jean Louis Trintignant, Klaus Kinski, Vonetta McGee; 105 min.
Un gruppo di banditi, nascosti nei nevosi boschi dello Utah in attesa di un’imminente amnistia che li sollevi dalle ingiuste accuse, è braccato dai cacciatori di taglie aizzati dal giudice di pace Pollicut, che ha anticipato loro il denaro sperando di arricchirsi con gli interessi.
Pauline (McGee), moglie di uno dei banditi uccisi da Tigrero (Kinski), il più spietato tra i cacciatori di taglie, decide di vendicarsi e manda a chiamare Silenzio (Trintignant), implacabile pistolero chiamato così perché reso muto da una ferita alla gola inflittagli da piccolo dai cacciatori di taglie che uccisero i suoi genitori – e perché “dopo che passa lui c’è solo il silenzio della morte”.
Tra i due si instaura un legame che va al di là del semplice accordo d’affari, e la donna offre conforto e supporto a Silenzio fino all’ultimo mentre egli affronta la più sanguinosa e tremenda delle sue battaglie.
Girato completamente in Italia, il film fu vietato ai minori di 18 anni a causa dell’estrema violenza: pur limitandone la distribuzione e il successo al botteghino, ciò non gli impedì di divenire uno dei più grandi classici senza tempo del western italiano.
La Resa dei Conti di Sergio Sollima, 1966
con Lee Van Cleef, Tomas Milian as Manuel “Cuchillo” Sanchez, Walter Barnes; 108min
Un latifondista offre al pistolero Jonathan Corbett (Van Cleef) di supportare la sua candidatura in Senato in cambio del suo appoggio per la costruzione della ferrovia che collegherà gli Stati Uniti al Messico. Il pistolero sta per accettare ma gli viene invece affidato l’incarico di catturare Cuchillo (Tomas Milian), un giovane messicano accusato di stupro e omicidio di una dodicenne. La caccia è lunga e difficile e ogni volta che viene acciuffato, Cuchillo riesce a fuggire; ma col passare del tempo Corbett viene a sapere che Cuchillo è innocente.
Il regista ha dato a Cuchillo una forte connotazione politica: un antieroe romantico e anarchico che non usa la pistola ma il coltello, l’arma dei poveri; diventò un idolo al pari di James Dean per i giovani ribelli, in particolare per le ultime parole da lui pronunciate prima di fuggire: “Non mi prenderai mai….. Cuchillo se ne va!”
La resa finale dei conti è considerata una delle più belle di tutto il Western, accompagnata dalla colonna sonora di Ennio Morricone, che incorpora “Per Elisa” di Beethoven in un tema musicale di stampo western classico.
Faccia a Faccia di Sergio Sollima, 1967
con Gian Maria Volonté, Tomas Milian, William Berger; 108 min.
Un professore di storia ammalato di tisi (Volonté) arriva in Texas per curarsi, ma viene preso in ostaggio da una banda di fuorilegge. Il professore colto e pacifico cerca in un primo momento di redimere il capo della banda, Beauregard Bennet (Milian), ma pian piano impara ad apprezzare ed amare la vita avventurosa della banda, alla quale si unisce in pianta stabile, divenendo talmente spietato che il bandito stesso dovrà fermarlo.
Reso indimenticabile dalle interpretazioni di Volonté e Milian, il film è un classico del maestro Sollima che trae forza dalla capacità di illustrare, tramite l’evoluzione del carattere dei due protagonisti, come i confini tra “buoni” e “cattivi” siano spesso offuscati.
La dimostrazione della potente carica negativa che un intellettuale può celare in sé e la frase del professore “Bisogna superare il confine della violenza individuale che è crimine per arrivare a quella di massa che è storia” è stata letta da molti come un presagio delle azioni del professor Toni Negri e della Lotta Armata in Italia negli anni Settanta/Ottanta. Colonna sonora eccellente del nostro amato Morricone.
Corri Uomo Corri di Sergio Sollima, 1968
con Tomas Milian, Donald O’Brien, Linda Veras; 120 min.
Il film è il seguito de La Resa dei Conti, film di Sollima di cui abbiamo parlato poco fa. Dopo essere tornato nella sua città natale in Messico, Cuchillo viene ben presto messo in prigione, dove condivide la cella con lo scrittore rivoluzionario Ramirez. Liberati entrambi grazie a un’amnistia, Ramirez assume Cuchillo per aiutarlo a sfuggire ai cacciatori di taglie e a recuperare i tre milioni di dollari da lui nascosti e destinati alla causa rivoluzionaria.
I due arrivano al villaggio di Ramirez, dove questi viene ucciso dall’ex-rivoluzionario bandito Reza – ma non prima di riuscire a trasmettere a Cuchillo le informazioni necessarie a recuperare il denaro da restituire al leader rivoluzionario, Santillana.
Cuchillo si mette in viaggio per adempiere alla missione, affrontando inganni, agguati e tradimenti da parte dei numerosi avversari che vogliono mettere le mani sull’oro – vedendosela anche con la sua fidanzata Dolores, che lo insegue a sua volta sperando di convincerlo ad abbandonare l’impresa.
Tepepa di Giulio Petroni, 1969
con Tomas Milian, Orson Welles, John Steiner; 132 min.
Jesus Maria Moran detto Tepepa (Milian) è profondamente deluso dal governo del presidente Madero, un tempo a sua volta rivoluzionario, e continua a lottare per la rivoluzione insieme ad un gruppo di fedeli combattenti. Nel frattempo, Tepepa si trova più volte ad affrontare il colonnello Cascorro (Welles) comandante dei Rurales, che vuole fucilarlo, e un dottore inglese, Henry Price (Steiner), desideroso di vendicare una ragazza di cui era innamorato e che Tepepa aveva violentato inducendola al suicidio.
Tra i migliori spaghetti western dedicati alla rivoluzione messicana, Tepepa esplora temi anticolonialisti e incarna l’idealismo sessantottino tipico del periodo. Uno dei momenti più interessanti del film è il monologo di Tepepa sulla “rivoluzione tradita”, che esprime la delusione del popolo verso l’ipocrisia dei capi rivoluzionari e la consapevolezza che il potere finisce sempre per corrompere chi ne entra in possesso. Geniale anche la scelta della colonna sonora che parte in modo quasi sommesso per salire poi d’intensità con il procedere della narrazione.
Curiosità: Tomas Milian non vedeva l’ora di conoscere Orson Welles, che era il suo idolo, sul set di Tepepa – ma l’incontro fu terribile, come raccontato da Marco Giusti in un articolo su Repubblica: stando al suo resoconto, “Welles lo chiamava ‘sporco cubano’ e se gli chiedeva da che parte mettersi, rispondeva ‘dove ti pare, purché non veda la tua faccia’.”
I Giorni dell’Ira di Tonino Valerii, 1967
con Giuliano Gemma, Lee Van Cleef, Walter Rilla, Christa Linder; 111 min.
Scott (Gemma) è uno spazzino orfano ed emarginato che vive in una piccola cittadina dell’Arizona e sogna di diventare pistolero. Quando in città arriva Frank Talby, un misterioso straniero (Van Cleef), Scott trova in lui un sostenitore contro i soprusi dei corrotti cittadini che lo scherniscono, nonché un maestro nell’arte di maneggiare la pistola. Ben presto i due fanno piazza pulita dei loro nemici, ma Scott si trova a dover scegliere se sostenere Talby, deciso a prendere controllo della città, oppure il suo amico stalliere Murph Allan, divenuto sceriffo, che gli ha salvato più volte la vita.
Un altro appassionante western all’italiana che applica le lezioni del maestro Leone con risultati eccelsi, incentrato sul desiderio di rivalsa e sull’esplorazione del complesso rapporto tra i protagonisti interpretati in modo eccelso da Gemma e Van Cleef.
Le Colt Cantarono La Morte e… Fu Tempo di Massacro di Lucio Fulci, 1966
con Franco Nero, George Hilton, Nino Castelnuovo; 83 min.
Il cercatore d’oro Tom Corbett (Nero) torna al suo paese natale dopo molti anni e trova la fattoria di famiglia distrutta e derubata dal proprietario terriero Scott (Castelnuovo); il fratello Jeff (Hilton), abbruttito dall’alcolismo in cui si è rifugiato dopo la morte della madre, gli intima di andarsene. Tom, tuttavia, è deciso a riscattare il fratello e vendicare la perdita della fattoria famiglia, e convince Jeff ad assisterlo nella lotta contro il malvagio Scott e il suo sadico figlio Junior.
Al suo esordio nel western, Fulci si era fino ad allora dedicato a commedie, musicarelli e film erotici; la svolta che lo portò poi a trovare il suo inconfondibile stile, che lo rese uno dei più celebrati registi italiani di film gialli e horror, avvenne proprio con questo film, che Fulci definì “artaudiano”, riferendosi alle lezioni da lui tratte dalla teoria del “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud.
La violenza abbonda nel film: al confine con il genere splatter, tra stupri, cannibalismo e scuoiamenti, Le Colt Cantarono La Morte è uno dei film più violenti di sempre nella storia del cinema western, secondo solo a I Quattro dell’Apocalisse diretto da Fulci nel 1975.
Quien Sabe? di Damiano Damiani, 1966
con Gian Maria Volonté, Lou Castel, Klaus Kinski; 118 min.
Al tempo della Rivoluzione Messicana, Bill Tate (Castel), sicario al soldo degli americani inviato a uccidere il generale Elías, si unisce alla banda di rivoluzionari di Chuncho (Volonté) fingendosi un ricercato, e viene da loro ribattezzato “Niño”.
Durante una pausa festiva in un villaggio liberato, Niño convince la banda di Chuncho a fuggire con le armi rubate prima dell’arrivo dell’esercito che sta per attaccare, lasciandolo solo col fratello Santo (Kinski) nell’arduo compito di difendere i contadini del paese. Il vano tentativo di Chuncho di recuperare le armi fa sì che il villaggio venga sterminato in sua assenza, ma il viaggio in compagnia di Niño permette a quest’ultimo di apprezzare la bontà d’animo Chuncho, spingendolo a rivedere i suoi piani.
Considerato uno spaghetti western “all’americana” per l’abilità di Damiani nel combinare atmosfere alla Leone con la violenza tipica dei film di Peckinpah, “Quien sabe” si distacca dalla tradizione western per le tematiche anti-americane e per la capacità di creare antagonisti complessi e dotati di un loro codice morale – caratteristica, quest’ultima, incorporata da Leone soltanto a partire da “Giù la Testa” del 1971, a sua volta ambientato in Messico.
Preparati La Bara! di Ferdinando Baldi, 1968
con Terence Hill, Horst Frank, George Eastman; 88 min.
Il senatore David Berry (Frank) è candidato al ruolo di governatore di contea, e chiede all’amico Django di offrirgli il suo sostegno fino alle elezioni; questi però è impegnato a scortare un carico d’oro fino al deposito federale di Atlanta.
Durante il viaggio, una banda di criminali al soldo di Berry attacca e stermina il convoglio, uccidendo anche la moglie di Django, che si finge morto e assume una nuova identità come boia della contea, cercando di proteggere le vittime dei soprusi di Berry mentre prepara la sanguinosa vendetta.
Noto anche col titolo di “Viva Django!”, il film si presenta come prequel del “Django” originale di Corbucci, nonostante Franco Nero avesse rifiutato di riprendere il ruolo da protagonista, assegnato quindi a Terence Hill.
Immagine di copertina: Lago di Camposecco, Piemonte, Italia; foto di Rosa Amato.