Go West, young man, and grow up with the country
– Horace Greely
Perché guardare un western, oggi?
Parlare di western, oggi, è un modo come un altro per diventare impopolare. Non come spacciarsi per un sostenitore di Kim Jong-un durante un convegno organizzato a Washington D.C. ma sicuramente abbastanza da farti guardare con sospetto da ogni appassionato e raffinato amante della settima arte che idolatri la triade Antonioni, Bergman e Fellini. Perché questo pregiudizio? Perché il genere che più di ogni altro si identifica con gli USA, e quindi col cinema popolare per eccellenza, soffre di questo discredito?
Per anni il cinema western è stato etichettato come il genere reazionario per eccellenza. Senza andare per il sottile divideva il mondo in buoni e cattivi, godeva delle simpatie di John Ford, John Wayne e di Clint Eastwood (tutti notoriamente repubblicani), con uno scarso ruolo destinato ai personaggi femminili (relegati a mero bottino da conquistare)…. Si, è quasi offensivo leggere questo paragrafo. Davvero qualcuno ha deciso che queste “motivazioni” (o altre, magari più arzigogolate, ma ancor meno convincenti) ci facessero passare per degli sprovveduti che attendono solo il nuovo The Birth of a Nation per farsi abbindolare?
Come spesso accade quando si affronta un genere, vi è anche il problema di analizzare prodotti molto differenti: il cinema classico americano (per tacere degli importanti antecedenti nei primi anni del Muto), il western europeo e quello targato New Hollywood hanno in comune poche elementi che tenterò di analizzare e interpretare.
Ho sempre pensato che la fortuna del western dipenda dal legame con la sala cinematografica. Se tutti i film “buoni” migliorano al cinema, questo è particolarmente vero per quelli ambientati nel vecchio West. I grandi spazi spettacolari, i contrasti marcati, la wilderness, i colori accesi sembrano fatti apposti per essere visti su uno schermo larger than life – e quando qui parte la musica, e la mdp prende il volo, ti viene solo voglia di non uscire mai dal cinema dove sei seduto:
Prima dello “spaghetti western” sarebbe stato sacrosanto dedicare un paragrafo a quel santo moderno chiamato cowboy. Dopo Leone & co. un’analisi di questo tipo risulterebbe fuorviante. Come nel cinema bellico, però, è doveroso interrogarsi sul tipo di rapporto che si crei tra i protagonisti del genere. Rari i casi in cui si trovano al centro della vicenda personaggi femminili. Gli uomini, quasi sempre armati, impostano i loro rapporti sulla franchezza. L’esperienza dura della vita di frontiera obbliga i protagonisti a creare rapporti scarni ed essenziali. Dopotutto, perché mentire a qualcuno, se posso facilmente sparargli?
Il tema della frontiera si collega al sopraggiungere della Legge in una dimensione quasi anarchica. Se L’uomo che uccise Liberty Valance è un titolo paradigmatico, non è l’unico che tematizza l’arrivo della civiltà in un contesto di barbarie. Le regole del West infatti non sono sempre così ferree nei confronti della violenza (si pensi a tutti quegli sceriffi che favoriscono la risoluzione di certi conflitti lontano dalle aule dei tribunali).
Per anni il grande rimosso del cinema USA sono stati gli indiani. I nativi americani avrebbero molto da dire sul modo in cui è stata raccontata la storia del loro paese. Come nella miglior propaganda, agli indiani vengono affibbiati costumi crudeli e barbari, in contrasto con la civiltà dell’uomo bianco. Ovviamente nessun riferimento alla grande tradizione democratica indiana (aspetto con ansia un film che racconti, dal punto di vista degli indiani, la Rivoluzione Americana e la civiltà delle Sei Nazioni, sulla falsariga del romanzo Manituana dei Wu Ming). Già alcuni importanti registi, come Aldrich, umanizzano il nemico, ma il vero cambio di paradigma arriva grazie alla New Hollywood: Soldato blu è uno dei primi titoli che racconta l’altra faccia del mito. Nonostante le critiche mosse da vari film, in periodi diversi, il ruolo della conquista del West nell’immaginario USA non viene mai messo in discussione (nemmeno dopo la ridda di oscar di Balla coi lupi).
L’epica (e il Mito). Difficile trovare un Paese che non faccia risalire ad un mito il proprio destino manifesto. Una nazione con una storia così recente come gli USA, ha saputo sfruttare al meglio il più grande bardo del XX secolo, per trovare un racconto unificante e funzionale allo status di grande potenza mondiale. La conquista del West fu un lento, lungo e difficile viaggio attraverso le terre di un vasto continente. Che quasi nessuno lo ricordi per lo scontro tra due mondi è merito della letteratura prima e del cinema western poi. Sarebbe riduttivo vedere in questo processo uno scontro esclusivamente militare. È doveroso sottolineare l’importanza dell’aspetto tecnico e industriale (si pensi all’epos ferroviario de Il cavallo d’acciaio) e il rapporto tra uomo e natura (ma forse sarebbe meglio definirla un’antropizzazione).
Perché, ancora oggi, queste storie funzionano?
Il Western ha i suoi estimatori. Ognuno si lascia catturare, consciamente o meno, da determinati aspetti.
Chi ama le grandi storie rimane affascinato da alcuni personaggi che giganteggiano per coerenza e ostinazione. Personaggi che, sotto una scorza dura, nascondono un cuore grande, che si buttano ciecamente all’avventura per rispettare la parola data. Sicuramente in questi film si preferisce un confronto rapido e istintivo, dove la parola e il pensiero hanno un valore inferiore rispetto all’azione. Questo però non impedisce di creare uno scontro anche intellettuale tra i protagonisti.
La violenza è un elemento essenziale del genere ma non è fine a se stessa (fatto salvo negli spaghetti western e, ancora più in generale, nel cinema degli anni 60-70).
Altri trovano nel western lo scontro tra vecchio e nuovo modo (di produrre, di vivere, di amare) che altrove viene negato. Nuovo, in questo caso, non fa (quasi mai) rima con buono [inutile poi notare che nuovo e buono non fanno mai rima, sono solo assonanti]. Quasi sempre questo tipo di concetti viene mediato nella maniera più trasparente possibile. Alcuni casi sono invece più opachi, si ricorre ad un linguaggio simbolico o allusivo. Porte di casa, diligenze o bicchieri di whisky diventano sinonimi di idee più complesse, capaci, in un attimo di alludere ad un universo che basta intravedere sullo schermo per capire.
Gli amanti del linguaggio cinematografico sanno che l’evoluzione dello stesso deve tantissimo al genere. Col western sono stati valorizzati alcuni espedienti tecnici, in particolare quelli legati ai grandi spazi: dolly, camera cart, carrelli, elicotteri, obiettivi sempre più luminosi e pellicole sempre più sensibili (per tacere del geniale uso dei ventilatori ritter in campo cinematografico).
Difficile tracciare un profilo dell’amante del western, forse è un esteta della settima arte, forse un sognatore in cerca d’avventura. Sicuramente avrà però un ottimo motivo per continuare a cercare oltre l’orizzonte.
Una cosa buona non ci piace, se non ne siamo all’altezza.
– Friedrich W. Nietzsche