Read in English. Questo articolo é dedicato alla memoria di Sergio Ragazzini, amico di famiglia e supporter della prim’ora di Mik’s Best of The West, che ci ha lasciato a Gennaio 2024. Il suo western preferito era Mezzogiorno Di Fuoco.
Un Viaggio alla scoperta dei western minimalisti di Budd Boetticher, dove l’onore, la vendetta e il destino si scontrano nei paesaggi aridi del Vecchio West.
Chi tra voi è fan dei film western di vecchio stampo avrà sicuramente già sentito parlare di Budd Boetticher: con una carriera durata quarant’anni e trentuno film all’attivo, di cui quattordici western, Boetticher ha dato un contributo essenziale al genere. Ma anche se il suo nome non dovesse esservi familiare, vale la pena dare un’occhiata al suo apprezzato ciclo “Ranown”: sette western girati alla fine degli anni Cinquanta, che prendono il nome dai produttori Harry Joe Brown e Randolph Scott. Quest’ultimo, oltre a essere co-produttore, è anche il protagonista di tutti i film. Questo ciclo è spesso considerato il punto più alto della carriera di Boetticher e offre una delle migliori interpretazioni della formula del western classico.
Il passato di Boetticher come toreador prima di diventare regista spiega il suo approccio diretto e senza fronzoli alla narrazione. Non amava i tipici western hollywoodiani dell’epoca, che riteneva troppo elaborati e verbosi. I suoi film, invece, erano brevi e incisivi—la maggior parte non supera gli 80 minuti—e si concentravano su conflitti morali ambientati in paesaggi aspri e selvaggi. “Tutti i miei film con Randolph Scott iniziano allo stesso modo,” disse una volta Boetticher, “Arriva Randy, è solo, qual è il suo problema?”.
A differenza dei western tradizionali, i film di Boetticher esplorano temi più oscuri e ambigui. Il West che dipinge è un luogo duro e solitario, dove la necessità di pensare alla propria sopravvivenza spinge spesso al tradimento e alla violenza. I protagonisti interpretati da Scott non sono eroi impeccabili: sono uomini segnati dal passato, spesso feriti da una grave perdita o spinti dal desiderio di vendetta, in cerca di una riconciliazione con eventi che non possono cambiare. Il destino e il caso giocano un ruolo cruciale, con piccole decisioni che portano a conseguenze drammatiche.
Lo stile essenziale e il tono cupo del ciclo Ranown gli hanno conquistato un seguito fedele nel tempo. Nel 2023, la Criterion Collection ha ripubblicato i film in 4K UHD Blu-ray, riconoscendone l’importanza e il fascino intramontabile. Sebbene i film condividano un caratteristico stile minimalista, ciascuno di essi mostra una sfaccettatura diversa di temi come la vendetta, la moralità e la sopravvivenza in un mondo ostile. Di seguito presentiamo un approfondimento su questi western, classificati nell’ordine che riteniamo rifletta meglio il loro impatto e la loro importanza.
I Sette Assassini (1956)
Con Randolph Scott, Gail Russell, Lee Marvin; 78 min.
I Sette Assassini è una pietra miliare nella carriera di Boetticher: segna la prima collaborazione con Randolph Scott e stabilisce il modello per i successivi film. Anche se tecnicamente non fa parte del ciclo ufficiale, vi è spesso associato venendone considerato uno dei migliori. Prodotto dalla Batjac, la casa di produzione di John Wayne, il film era stato inizialmente pensato per lo stesso Wayne, che però rifiutò il ruolo, consigliando Scott—una decisione di cui poi si pentì. Il personaggio di Scott, Ben Stride, è un taciturno ex-sceriffo in cerca di vendetta contro sette fuorilegge che hanno rapinato un ufficio Wells Fargo e ucciso sua moglie. Il film inizia con Stride che elimina metodicamente due di loro, stabilendo subito il tono di una storia guidata dal desiderio di vendetta.
Questo film serve anche a presentarci i personaggi tipici interpretati da Scott nella serie: uomini taciturni e solitari che hanno visto di tutto e non si stupiscono di nulla, ben diversi dagli eroi più grandiosi dei western interpretati da Wayne. Lungo il cammino, Stride incontra una giovane coppia diretta a ovest e accetta di scortarli, pur mantenendo chiaro il suo obiettivo principale. La tensione cresce quando il gruppo si imbatte in Masters, una canaglia ben vestita e cinica che ha praticamente inventato l’idea del cattivo “attraente” nei film. Con la sigaretta sempre tra le labbra e un sorriso sfrontato, Marvin fornisce il perfetto contraltare alla cupa determinazione di Scott.
La trama è semplice, ma Boetticher sfrutta ogni momento per costruire tensione. Gran parte dell’azione si svolge in un canyon, dove gli uomini si affrontano in un gioco del gatto e del topo. Il caso gioca un ruolo fondamentale: se Stride non avesse incontrato la coppia, tutto sarebbe potuto andare diversamente. Con una durata di soli 73 minuti, I Sette Assassini è un western essenziale e teso, con lo stile scarno tipico di Boetticher. Persino il critico André Bazin ne lodò l’approccio diretto e privo di orpelli, definendolo “forse il miglior western che abbia visto dal dopoguerra”.
I Tre Banditi (1957)
Con Randolph Scott, Richard Boone, Maureen O’Sullivan; 78 min.
I Tre Banditi, adattamento di Budd Boetticher del racconto The Captives di Elmore Leonard, può apparire semplice in superficie, ma rivela ben presto sfumature più profonde. Randolph Scott interpreta Pat Brennan, un ex mandriano che cerca di costruirsi una vita indipendente come ranchero. La sua giornata inizia con una scommessa spensierata: cavalcare un toro per vincerlo invece di pagarlo. Perde sia la scommessa che il suo cavallo, dando il via a una serie di eventi che lo porteranno a confrontarsi con la banda di fuorilegge di Frank Usher (Richard Boone).
Boone interpreta un antagonista più riflessivo del classico cattivo western, un uomo le cui scelte sembrano dettate dalle circostanze più che da una malvagità innata. Tra Usher e Brennan si sviluppa un rispetto reciproco, seppur riluttante, che arricchisce la dinamica tra eroe e villain. Brennan, lontano dall’archetipo dell’eroe infallibile, è protagonista di episodi buffi quasi in stile slapstick che lo rendono più umano —come quando cade in un abbeveratoio o sbatte la testa contro una tettoia—aggiungendo una nota di realismo al personaggio.
La tensione del film nasce da piccole scelte apparentemente casuali: se Brennan non avesse accettato quella scommessa, o non avess accettato un passaggio dalla diligenza guidata dall’amico incontrato sulla strada del ritorno, non si sarebbe mai trovato in pericolo. Boetticher sfrutta questi dettagli per offrire una sottile critica al fatalismo tipico del genere, anticipando i temi dei western revisionisti che verranno. Notevole è anche il discorso di Brennan all’insicura Lady Mims: “Se non hai stima di te stessa, come puoi aspettarti che ce l’abbiano gli altri?”—un raro momento di emancipazione femminile in un genere che solitamente offre ruoli stereotipati alle donne.
Visivamente, Boetticher e il direttore della fotografia Charles Lawton Jr. sfruttano ampi paesaggi desolati per evidenziare l’isolamento dei protagonisti. Brennan, come molti personaggi di Boetticher, sopravvive più grazie al pragmatismo che all’eroismo, offrendo una riflessione sul destino, l’orgoglio e la fragilità umana.
L’Albero della Vendetta (1959)
Con Randolph Scott, Karen Steele, Pernell Roberts, Lee Van Cleef; 73 min.
L’Albero della Vendetta è un western costruito su un lento crescendo di tensione e incentrato sul taciturno cacciatore di taglie Ben Brigade (Randolph Scott), guidato da motivazioni oscure quanto le terre desertiche che attraversa. Apparentemente, Brigade è intento a catturare Billy John (James Best), un assassino ricercato, ma con il progredire della trama emerge che il suo vero obiettivo è affrontare Frank (Lee Van Cleef), il fratello di Billy, con cui condivide un passato segnato da una ferita personale mai sanata.
Durante il viaggio, a Brigade si unisce a un gruppo eterogeneo composto da due fuorilegge, Sam Boone (Pernell Roberts) e il suo giovane aiutante Whit (James Coburn, al suo esordio cinematografico), oltre alla vedova del gestore della stazione di posta dove i quattro si incontrano. Coburn, che qui veste i panni di un personaggio secondario e piuttosto ingenuo, avrebbe poi costruito una carriera interpretando personaggi molto più decisi ed astuti. Boone intuisce presto che Brigade ha in mente un piano che va oltre la semplice cattura di Billy e cerca costantemente di anticipare le sue mosse. Billy, invece, si rivela un antagonista ben poco minaccioso: pur essendo alla costante ricerca di una via d’uscita, è troppo avverso al rischio per passare dalle parole ai fatti. Come ricorda spesso a Brigade, è suo fratello Frank – interpretato nientemeno che da Lee Van Cleef – il vero pericolo. A differenza di Billy, però, Brigade non è tipo da arrendersi ed è pronto ad affrontare sia Frank che le altre minacce costanti, dai complotti di Boone a una tribù di Mescaleros che si avvicina furtivamente alla comitiva.
Nonostante Brigade sia costantemente accerchiato da nemici e alleati ambigui, il film riesce a evocare un profondo senso di solitudine, come sottinteso dal titolo originale. Brigade raramente viaggia da solo, ma la sua determinazione e il peso del passato lo rendono un uomo irrimediabilmente solitario. Girato in CinemaScope, con ampie inquadrature di paesaggi desolati e una colonna sonora suggestiva di Heinz Roemheld, L’Albero della Vendetta affronta temi universali come la vendetta, la perseveranza e la redenzione. Come dice Boone: “Non è così difficile per un uomo se sa perché deve morire”.
Il Cavaliere Solitario (1958)
Con Randolph Scott, Craig Stevens, Barry Kelley; 80 min.
Il Cavaliere Solitario è uno dei film più intricati del ciclo western di Boetticher con Randolph Scott. Questa volta, Scott interpreta Tom Buchanan, un viaggiatore di passaggio ad Agry Town, un insediamento di frontiera gestito da una famiglia corrotta di fratelli in faida. Buchanan desidera raggiungere il Texas occidentale e iniziare una nuova vita come ranchero, ma come spesso accade nel mondo di Boetticher, farsi gli affari propri non porta molto lontano. Buchanan interviene per difendere una giovane donna dalle molestie di uno sconosciuto, tira qualche pugno di troppo e si trova improvvisamente coinvolto in un processo per omicidio, accusato come complice del crimine.
Sebbene sia raro assistere a un processo in un western, non c’è da aspettarsi un grande dramma giudiziario: la giustizia ad Agry Town è più legata al potere e al denaro che all’imparzialità. Il film, basato sul romanzo di Jonas Ward del 1956 The Name’s Buchanan, mescola la giustizia di frontiera con colpi di scena da noir e alleanze in continuo mutamento. Buchanan si trova costretto a collaborare con Juan, un giovane vaquero anch’egli sotto processo, e insieme devono affrontare tradimenti e doppi giochi da ogni parte. A differenza delle abituali storie di vendetta di Boetticher, i problemi di Buchanan derivano semplicemente dal trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Tuttavia, alla fine, il protagonista si troverà a combattere per la sua vita, dimostrando che nel West di Boetticher, anche se non cerchi guai, saranno loro a trovare te. Il tono ironico e la serie di colpi di scena rendono questo film una variazione interessante rispetto agli altri titoli del ciclo, sebbene mantenga lo stile diretto e asciutto tipico del regista.
Decisione al Tramonto (1957)
Con Randolph Scott, John Carroll, Karen Steele; 77 min.
Decisione al Tramonto si distingue nel ciclo Boetticher-Scott per il suo tono cupo e il ritratto di un protagonista moralmente ambiguo. Randolph Scott interpreta Bart Allison, un uomo amareggiato e vendicativo che arriva nella corrotta cittadina di Sundown deciso a uccidere Tate Kimbrough (John Carroll), l’uomo che incolpa del suicidio della moglie. A differenza dei personaggi solitamente stoici e taciturni di Scott, Allison è apertamente aggressivo, accecato dalla rabbia e incapace di vedere la verità: il suicidio della moglie non è stato solo il risultato di una relazione extraconiugale, ma di una serie di tradimenti che lui si rifiuta di riconoscere.
Boetticher stesso considerava Decisione al Tramonto uno dei suoi film meno riusciti, notando la mancanza del tocco personale e della scrittura tagliente di Burt Kennedy. Tuttavia, il film offre una prospettiva intrigante sul tema della vendetta: Allison non è l’eroe tipico, ma un uomo profondamente fallibile. Parallelamente, gli abitanti di Sundown sono prigionieri del loro stesso ruolo, complici dell’ascesa al potere di Kimbrough e incapaci di liberarsi dalla sua influenza. L’idea che tutti abbiano un ruolo predefinito che porta inesorabilmente al compimento del loro fato è un tema ricorrente nel ciclo Ranown. In questo caso, porta a una conclusione cupa ma adeguata: Allison non trova redenzione, ma Sundown ottiene l’opportunità di riscattarsi.
Pur mancando della tensione serrata dei migliori lavori di Boetticher, Decisione al Tramonto offre una visione sovversiva del genere, decostruendo il mito dell’eroe western infallibile. Nei western di Boetticher, il fatto che “un uomo debba fare ciò che va fatto” non è una virtù, ma piuttosto una tragica constatazione dell’inevitabile.
La Valle dei Mohicani (1960)
Con Randolph Scott, Claude Akins, Nancy Gates; 73 min.
La Valle dei Mohicani segnò l’ultima collaborazione tra Budd Boetticher e Randolph Scott, concludendo il ciclo Ranown in modo più che dignitoso, sebbene velato da una certa malinconia. Scott interpreta Jefferson Cody, un uomo spinto da una missione personale e quasi ossessiva per ritrovare sua moglie, catturata dai Comanche anni prima. Durante una delle sue ricerche, Cody salva un’altra donna rapita dalla tribù, ma la situazione si complica quando un trio di cacciatori di taglie si unisce al gruppo, sperando di riscuotere la ricompensa offerta dal marito della donna.
La tensione del film deriva meno dalla violenza diretta e più dalle motivazioni nascoste e dalle alleanze mutevoli che si formano durante lo svolgimento della trama. A differenza dei precedenti western del ciclo, in cui i cattivi come Richard Boone o Lee Marvin spiccavano per il loro carisma, l’antagonista Ben Lane (Claude Akins) è più discreto, lasciando che gran parte del peso drammatico ricada sul giovane fuorilegge Dobie e sul suo rapporto conflittuale con i compagni di banda. Questo dinamismo offre un interessante contrasto con la figura stoica di Cody.
Un elemento ricorrente è la sensazione che l’altruismo di Cody, pur nobile, possa rivelarsi vano in un mondo dominato dall’avidità e dalla violenza. Boetticher mantiene un ritmo sostenuto, enfatizzando le lunghe cavalcate attraverso paesaggi ampi e brulli, che risultano tanto affascinanti quanto desolanti. L’unica notevole pecca del film sta nell’aver ritratto i Comanche con creste Mohawk e, nella versione italiana, di averli erroneamente chiamati Mohicani per tutta la durata del film.
Con una durata di soli 74 minuti, La Valle dei Mohicani chiude la serie esplorando temi familiari come la perdita, la lealtà e la resilienza, lasciando Jefferson Cody ancora una volta solo, a cavalcare in un mondo che sembra non avere bisogno di uomini come lui.
L’Oro della California (1959)
Con Randolph Scott, Virginia Mayo, Michael Dante; 75 min.
L’Oro della California è spesso considerato il film più debole della collaborazione Boetticher-Scott. Pur essendo tecnicamente parte del loro sodalizio, viene escluso dai puristi dal ciclo Ranown per via della sua mancanza di profondità personale e di ambiguità morale, elementi distintivi delle opere migliori del duo. La trama segue John Hayes (Randolph Scott), un capitano dell’esercito dell’Unione durante la Guerra Civile, incaricato di garantire il trasporto sicuro dell’oro dalla California per sostenere lo sforzo bellico unionista.
Hayes torna in Colorado per riavviare la linea ferroviaria che gestiva in passato, ma si scontra con Clay Putnam (Andrew Duggan), un simpatizzante confederato che ha sposato la sua ex fidanzata (Virginia Mayo). Sebbene il film offra una narrazione vivace e alcune interpretazioni memorabili—tra cui quella di Michael Dante nei panni di un veterano con un braccio solo—manca la tensione emotiva e i conflitti morali che caratterizzano i migliori western di Boetticher. La componente patriottica, sebbene inedita per questa collaborazione, risulta troppo distante e non riesce a generare lo stesso coinvolgimento di temi più personali.
Prodotto principalmente per onorare un obbligo contrattuale di Scott con la Warner Bros., L’Oro della California resta un western piacevole, ma privo del peso e della profondità che distinguono gli altri lavori del duo.
Pur essendo partito come una serie di western di serie B a basso costo, Budd Boetticher e Randolph Scott sono riusciti a trasformare il ciclo Ranown in qualcosa di molto più duraturo. Con il loro stile minimalista, l’ambiguità morale e i temi ricorrenti della vendetta, della perdita e del destino, questi film hanno contribuito a ridefinire il genere western. Anche i film più deboli offrono una miscela unica di grinta ed economia narrativa e, insieme, formano un impressionante corpus di opere che continua a essere studiato e apprezzato.
Sia per gli appassionati del genere che per i neofiti curiosi, il ciclo Ranown rappresenta una visione essenziale per comprendere l’evoluzione del cinema western americano.
Immagine di copertina: Early morning light at Movie Road, Alabama Hills, Lone Pine, California, USA, di Fred Moore.